FAQ Parkinson e non solo



Farmaci e cure complementari nella malattia di Parkinson

Perchè i farmaci originali costano più dei generici? Se fossero equivalenti dovrebbero avere prezzi uguali.

I farmaci originali costano di più perché prima di entrare in commercio le aziende devono eseguire numerosi e costosi trials per verificare la sicurezza e l'efficacia. Al contrario, per i farmaci generici è richiesto solo uno studio di bioequivalenza prima dell'entrata in commercio.

Teoricamente nessuna medicina dovrebbe avere tossicità, a parte gli effetti collaterali e l'eventuale intolleranza individuale.
Sì, per “contrastare” i sintomi motori, e facilitare in questo modo i movimenti. L’esercizio fisico deve essere lieve, e non estenuante, anche una semplice passeggiata giornaliera è sufficiente a migliorare la flessibilità delle articolazioni e a contrastare la rigidità.

In generale l’esercizio fisico migliora:
- la forza muscolare
- la flessibilità delle articolazioni
- l’equilibrio
- l’andatura
- la coordinazione (fluidità e precisione del movimento)
- la capacità di svolgere le normali attività della vita quotidiana

E aiuta a prevenire:
- la stipsi
- i disturbi del sonno
- l’osteoporosi
Per ulteriori info sulla riabilitazione si consiglia di leggere --> Parkinson e Riabilitazione
Oltre all’esercizio fisico, è parere di molti pazienti che le terapie non farmacologiche siano molto utili nel promuovere uno stato di benessere psico-fisico generale e nel migliorare la qualità di vita. Prendete pertanto in considerazione la fisioterapia, che migliora il movimento e la forza muscolare, la logopedia, la terapia occupazionale (valuta i pazienti nelle loro attività quotidiane, in modo da suggerire le strategie che permettano loro di essere il più possibile autosufficienti, nonchè di adattare l’ambiente in cui vivono al progredire della malattia), la terapia sessuale.
Le cadute sono più frequenti nelle fasi avanzate della malattia, in genere aumentano dopo il decimo anno. Sono imputabili a cause diverse: episodi di “freezing” (durante i quali il paziente percepisce i piedi come incollati, congelati al pavimento e tende a protendere il busto in avanti), l’ipotensione ortostatica (cioè un calo della pressione arteriosa quando si passa dalla posizione seduta a quella eretta).
Seguire un programma di riabilitazione motoria aiuta non solo a ridurre il rischio di caduta, ma insegna anche come cadere, in modo da farsi meno male.
Se il rischio di caduta è elevato può anche essere consigliato l’utilizzo di un deambulatore, nei momenti della giornata in cui si verificano i blocchi motori.
Se per cure non tradizionali intendiamo le cure complementari (attività fisica e sportiva, dieta, ecc.) queste devono essere intese come strategie pervasive lo stile di vita e che si ritengono utili sulla base di molte evidenze scientifiche per prevenire la progressione della disabilità correlata con la malattia di Parkinson. In questo senso le strategie complementari dovrebbero essere contemplate sin dalle fasi iniziali della malattia e poi proseguite con continuità, ovviamente adattate alle capacità ed alle potenzialità e rese sostenibili nel contesto di vita delle persone,  senza sovvertire le proprie abitudini, ma integrando nuove attività da svolgere regolarmente e possibilmente assecondando le proprie passioni e motivazioni. Se invece la domanda si riferisce alle modalità avanzate di trattamento della malattia di Parkinson (DBS e terapie infusionali), la risposta non può che essere strettamente personale, da rivolgere direttamente allo specialista di riferimento: i criteri di avvio di terapie avanzate sono di fatto definiti da Linee Guida comuni, ma l’inclusione in un programma di terapia avanzata dipende da un complesso di fattori che caratterizzano la situazione del singolo paziente all’atto della valutazione e non solo la durata della malattia.

Possiamo affermare che tutti gli sport vanno bene per la fase iniziale-intermedia della malattia. Requisito fondamentale è che l’attività sportiva dovrebbe anche essere piacevole per il soggetto che la praticherà e soprattutto sempre di intensità moderata. Non serve praticare sport estremi o estremamente avventurosi. Per le fasi più avanzate di malattia bisogna sempre tenere in considerazione le comorbidità del paziente e le sue capacità nonché l’evoluzione eventuale della malattia e delle complicanze. In generale ginnastica dolce, yoga, tai chi, nordic walking, corsa moderata, camminate, tapis roulant, step, nuoto, bicicletta o cyclette, canoa e sci assistito possono andare bene per le fasi avanzate, sempre dietro consulto con il proprio neurologo di fiducia.
Si raccomanda di effettuare sempre una visita annuale con medico dello sport e con test da sforzo.

In linea generale è un’esperienza comune che le persone che praticano regolarmente attività sportive e motorie riescono a usare meno farmaci. Non ci sono studi scientifici in tal senso ma solo esperienze soggettive che comunque sembrano sempre andare nella stessa direzione. Si raccomanda comunque di discutere sempre queste eventuali riduzioni con il proprio neurologo curante.

Tutte le attività in acqua possono andare bene, anche l’acqua gym, sempre però tenendo in considerazione il confronto con il proprio neurologo curante e l'idoneità alla pratica sportiva che viene valutata da un medico dello sport. Anche consultare un personal trainer o un allenatore può essere raccomandabile. Ciò che bisogna tenere in considerazione è che l'attività di acqua gym, non è un'attività leggera ma richiede un certo grado di sforzo e di preparazione fisica. Oltre a ciò, nel praticare acqua gym bisogna porre attenzione alle personali comorbidità come per esempio le  problematiche osteoarticolari (colonna vertebrale e articolazioni) che potrebbero risentirne in maniera negativa. Un'attività acquatica molto utile può essere il nuoto con tutti gli stili, dove ce ne sia la capacità e come attività marina la canoa e il SUP (Standing Up Paddling) che possono essere praticate con grande facilità e che sono in grado di migliorare la capacità fisica e il grado di allenamento del soggetto.

La ricerca sul Parkinson

A che punto è la ricerca su nuovi farmaci?
Al momento in studio ci sono farmaci sintomatici come una preparazione di levodopa a lento rilascio e due preparazioni per infusione sottocutanea. Questi farmaci sono in fase avanzata di sperimentazione e potrebbero essere commercializzati entro due anni. Ci sono poi altre molecole che sono in fase iniziale di sperimentazione per cui bisognerà attendere più a lungo per la commercializzazione. Per quanto riguarda i farmaci che possono influenzare il decorso di malattia, ovvero gli anticorpi monoclonali per l’alfasinucleina, siamo ad oggi in attesa di dati conclusivi.

Solo nei 10% circa dei casi la malattia di Parkinson è attribuibile alla mutazione di un singolo gene (monogenica), mentre nella gran parte dei casi è ipotizzabile una predisposizione poligenica all’interno di una stessa famiglia (assetto cromosomico predisponente). Inoltre, in alcuni casi, la mutazione genetica non è completamente “penetrante”, ovvero non tutti i soggetti portatori di una mutazione manifesteranno la malattia.
Pertanto, l’indagine sui familiari non affetti dalla malattia attualmente non è consigliata dalle linee guida di buona pratica clinica nazionali ed internazionali.
Nel caso abbiate ricevuto la diagnosi di malattia di Parkinson monogenica, consigliamo di rivolgervi al neurologo curante che saprà sicuramente, grazie anche all’ausilio di una consulenza di genetica medica, approfondire l’argomento fornendo tutte le informazioni del caso.
Un paziente informato è il miglior alleato del medico.

La malattia di Parkinson coinvolge molti circuiti “emozionali”, come testimoniato da alcuni sintomi che si manifestano nel corso della patologia (depressione, ansia, etc.), e allo stesso modo è frequente che un mancato benessere emozionale sia alla base di uno scarso compenso motorio. Inoltre, il 30% dei pazienti può esordire con una sintomatologia “emotiva” che anticipa l’esordio dei sintomi motori.
È inoltre di frequente riscontro che la patologia possa manifestarsi successivamente a traumi emotivi o situazioni particolarmente stressanti, ma in questo caso tali eventi possono, a giudizio della comunità scientifica internazionale, rappresentare solo dei fattori scatenanti e non causativi di un processo di neurodegenerazione già avviato. Tale argomento è fonte di dibattito in letteratura, e pertanto potremmo avere risposte più specifiche nel corso dei prossimi anni.
Nella malattia di Parkinson classica la proteina che svolge il ruolo da protagonista si chiama “alfa-sinucleina”, target terapeutico di farmaci in corso di sperimentazione. Il Parkinson pertanto viene annoverata nel capitolo delle “sinucleinopatie”.
Per “taupatia” si intende una patologia legata al patologico accumulo di proteina Tau, categoria in cui rientrano alcune patologie che compongono lo spettro delle sindromi Parkinsoniane o Parkinsonismi, come ad esempio la paralisi sopranucleare progressiva (di cui fa parte la Sindrome di Richardson) così come la sindrome cortico-basale o la sindrome parkinsoniana associata alla demenza fronto-temporale. Tali patologie hanno sì alcuni sintomi in comune con la malattia di Parkinson, ma anche molti sintomi caratteristici che il neurologo esperto è in grado di individuare precocemente, oltre che un differente decorso di malattia.
Non è raro che traumi fisici o emotivi possano slatentizzare un processo di neurodegenerazione fino ad allora silente ma che si sarebbe comunque manifestato nei mesi o negli anni successivi
Requisiti fondamentali per l’impiego utile di nuove tecnologie al fine di migliorare la qualità di vita dei pazienti con malattia di Parkinson sono la loro affidabilità verificata scientificamente e la loro sostenibilità, che comprende dimensioni, facilità di impiego, adattabilità all’ambiente domestico, ridotte necessità di manutenzione e ovviamente costo dei prodotti. È un mondo tecnologico con radici già molto robuste, ma da far crescere attraverso la stretta collaborazione di tecnici, medici e pazienti. Per l’attività di monitoraggio dei sintomi esistono studi di validazione della funzionalità e dell'utilità di molti sensori indossabili per la malattia di Parkinson. Il passaggio a un loro impiego pratico nella vita quotidiana rappresenta un passo ancora da compiere. L’evoluzione di case “intelligenti” è una realtà in grande sviluppo e sempre più accessibile per tutti. Giungere a una sintesi tra progressi dell’automazione e le peculiari esigenze dei pazienti parkinsoniani è un obiettivo raggiungibile e da raggiungere. Sono in evoluzione sensori ambientali non necessariamente indossabili che potranno monitorare con precisione movimenti e attività dei pazienti, fornendo informazioni sullo stato clinico e su eventuali momenti di maggiori difficoltà come il “freezing” o le cadute, inviando al paziente gli stimoli visivi o sonori per superare tali difficoltà oppure allertando i familiari. Le nuove tecnologie dovranno avere lo scopo di promuovere l’autonomia delle persone ampliando le opportunità di mantenere una vita fisicamente e cognitivamente attiva.

Disturbi cognitivi e altri sintomi non motori nella malattia di Parkinson

Esistono fattori protettivi che rallentano i disturbi cognitivi?
Probabilmente i fattori protettivi sono di tipo genetico e non tutti noti. Esiste però la possibilità di influenzare positivamente le performance cognitive con training nel quotidiano, con attenzione nel suddividere i compiti durante la giornata, con metodiche di potenziamento dell'attenzione. Inoltre, è importante controllare e correggere eventuali fattori di rischio per comorbidità cerebrovascolare (ipertensione, ipercolesterolemia, ipeglicemia, etc.) che possono negativamente influenzare le performance cognitive a causa di microlesioni ischemiche del cervello.
La riabilitazione cognitiva, ove praticabile, può essere utile a migliorare le prestazioni cognitive del paziente. Tuttavia, va tenuto presente che le alterazioni cognitive non sono causate dai farmaci, ma dal progredire della malattia stessa.
Non siamo al corrente di significativi passi in avanti. La molecola è in fase di studio anche su altre patologie neurologiche e psichiatriche. Ancora siamo in attesa di approvazione da parte dell'EMEA.

Ascoltare musica e muoversi seguendo il ritmo di una musica può aiutare il cervello a pianificare ed eseguire più correttamente il movimento. In effetti, stimoli uditivi vengono almeno parzialmente filtrati nei gangli della base, e possono agire da stimolo per l'inizio del movimento. Inoltre, l'esecuzione di movimenti ripetuti e cadenzati (ad esempio la deambulazione) può essere facilitata da un congruo ritmo di musica.

I sintomi ossessivo-compulsivi non sono prodromici allo sviluppo di malattia di Parkinson, tuttavia i soggetti che già avevano tali disturbi tendono a sviluppare maggiormente questa complicanza. In altre parole, il tratto biologico di tipo ossessivo-compulsivo rappresenta un fattore di rischio per la comparsa di questi comportamenti patologici se lo stesso soggetto diventa anche parkinsoniano. La cosa migliore è comunque rivolgersi al proprio neurologo per rivalutare la terapia.

Un disturbo cognitivo lieve si presenta nel 30% dei pazienti già in fase iniziale di malattia. La storia naturale della malattia spesso comporta l'insorgenza di un deterioramento cognitivo più severo dopo molti anni dall'esordio

La cocaina riduce la ricaptazione neuronale di dopamina, quindi agisce come un agonista dopaminergico e può ridurre l'entità dei sintomi parkinsoniani. Tuttavia, non sono al corrente di alcun dato che suggerisca che la cocaina abbia un effetto positivo sulla progressione della malattia di Parkinson. Anzi, l'uso di cocaina è associato ad incremento di rischio di ischemie cerebrali che possono contribuire a accelerare la progressione dei sintomi e a ridurre la risposta alle terapie farmacologiche.

Il trattamento è già multidisciplinare in molte realtà (coinvolgimento del neurologo, dello psicoterapeuta, dello psichiatra, etc.), ma non ci sono studi relativi alla spesa sanitaria.

È possibile utilizzare strategie cognitive che possono essere suggerite e implementate durante esercizi di riabilitazione cognitiva. È necessaria a tal fine la figura del neuropsicologo. Una strategia positiva può essere ridurre l'entità e il numero di distrazioni. Se si sta affrontando un argomento importante bisogna evitare le distrazioni, e aiutare il soggetto a restare concentrato sulle informazioni importanti. Inoltre, è utile non affrontare più di un argomento alla volta e non cambiare discorso di punto in bianco.

Il dolore lombare cronico non dipende solo dal Parkinson. Gli interventi alla colonna, anche se sono stati necessari, possono modificare la postura, l'allineamento del bacino eccetera. La rigidità muscolare associata al Parkinson può peggiorare tale sintomatologia

L'effetto della LEVODOPA-BENZERAZINE sul sonno è variabile: può determinare sia sonnolenza diurna che alterare il sonno notturno. In generale, però, non è mai la causa di insonnia, al conrario la carenza di stimolo dopaminergico notturno peggiora la rigidità e la difficoltà nel girarsi nel letto, quindi nelle ore serali spesso si preferisce somministrare preparati a lento rilascio o dopamino-agonisti. La riduzione del tempo di sonno può essere più correlata alla malattia di Parkinson in sè che non al farmaco.

È necessario cercarne le cause, iniziando con una valutazione accurata dei valori della pressione arteriosa sistemica nelle 24 ore.
I fenomeni descritti potrebbero essere compatibili con un disturbo del comportamento in sonno REM, manifestazione notturna che si associa alla malattia di Parkinson e che non si cura con LEVODOPA-BENZERAZINE. La necessità di urinare durante la notte può dipendere da una scarsa stimolazione dopaminergica, che però non è l'unica causa. Spesso ha a che fare con la produzione di urina ed è sempre utile limitare i liquidi dal tardo pomeriggio in poi.
La stitichezza o stipsi è una conseguenza della lentezza dei movimenti e quindi della malattia in sé, ma anche di alcuni farmaci che possono essere prescritti per la cura del Parkinson. Avere una buona funzione intestinale è utile soprattutto se si assume levodopa che, per essere assorbita, deve passare dall’intestino al sangue, e da questo al cervello. Tutto quello che rallenta l’intestino può ridurre quindi, l’effetto della terapia.
Alcuni semplici consigli vi aiutano in questo:
1.    Dedicatevi a un’attività fisica regolare
2.   Consumate liquidi in maniera adeguata (1,5 litri d’acqua al giorno, 8-10 bicchieri al giorno)
3.   Scegliete un’alimentazione ricca di frutta e verdura e di fibre in generale.
La stanchezza fisica e/o mentale è molto comune nei malati di Parkinson, e può essere uno dei primi sintomi che compaiono. La stanchezza può essere causata da più di un fattore, tra cui i farmaci, la malattia stessa (gli sforzi per gestire i sintomi ma anche le variazioni chimiche nel cervello), un sonno disturbato, la depressione. La stanchezza si può “correggere”, per questo è però importante identificarne la causa. Alcuni accorgimenti comunque utili a livello generale sono i seguenti:
•    dedicate tutto il tempo necessario a svolgere le varie attività
•    imparate a riconoscere e sfruttare i momenti in cui i farmaci sono più efficaci e vi sentite meno stanchi
•    assicuratevi che la dieta sia bilanciata come apporto energetico ed evitate la stitichezza che causa stanchezza
•    effettuate un regolare esercizio fisico in modo da mantenere i muscoli tonici
Sì, molti sintomi legati alla malattia di Parkinson, e anche più generali, come la rigidità, il dolore, l’ansia, la depressione, possono avere un impatto negativo sul sonno. Tuttavia, anche alcuni farmaci usati per curare la malattia possono avere un effetto eccitante, riducendo le ore di sonno. Parlatene con il medico per trovare la giusta soluzione che può andare da semplici accorgimenti che vi aiutano a dormire meglio a tecniche di rilassamento, fino alla prescrizione di alcuni farmaci come un ansiolitico. Un “buon” sonno è molto importante, per spendere al meglio le energie.
I fenomeni descritti potrebbero essere compatibili con un disturbo del comportamento in sonno REM, manifestazione notturna che si associa alla malattia di Parkinson e che ha una terapia specifica. Ne parli con il suo neurologo che Le saprà dare tutti i consigli del caso.
La terapia dell'insonnia va impostata in rapporto ai sintomi e considerando l'intero contesto clinico. È necessario che ne discuta con il suo neurologo di fiducia per modificare la terapia che sta assumendo.
Dipende. La melatonina  non è una sostanza da utilizzare per indurre il sonno. Funziona come sincronizzatore, allineando il sonno con il buio serale/notturno. È il suo neurologo di fiducia che può dirle se, nel suo caso, la melatonina sia utile o meno.

Si ci sono. Gli integratori vanno però sempre concordati con lo specialista di riferimento per evitare di introdurre prodotti che possano interferire con l'assorbimento dei farmaci dopaminergici.

La dieta va sempre adattata alla persona. La migliore alimentazione è una dieta bilanciata a base di proteine, cereali integrali, frutta e verdura. Per il fabbisogno calorico in base a età, sesso e stadio della malattia sarebbe utile eseguire una valutazione completa dello stato nutrizionale, magari con l'ausilio di esami strumentali come la calorimetria e l'impedenzometria. Per fare ciò è necessario avere competenze dietologiche e dietetiche. È sconsigliabile "il fai da te".
Il reflusso gastroesofageo non è un sintomo riferibile alla malattia di Parkinson né una complicanza legata ai farmaci dopaminergici. La terapia deve vedere il coinvolgimento del medico di base o di un gastroenterologo.
La prucalopride (nome commerciale Resolor®) è un nuovo farmaco agonista recettoriale selettivo del 5-HT4 che agisce sulla stipsi cronica, laddove altri farmaci non hanno avuto gli effetti sperati. Ad oggi ci sono pochi dati (con studi clinici controllati) relativamente all'utilizzo nei soggetti con patologia parkinsoniana. I pochi dati ne confermano l'efficacia con aumento del numero di evacuazioni alla settimana ed è risultato ben tollerato. In attesa di altre conferme cliniche.
Sono in corso studi  che vanno a valutare l'eventuale impatto del trapianto di feci sui pazienti affetti da Parkinson, nell'ipotesi che incidendo sul microbiota intestinale si possa influire sui meccanismi alla base della infiammazione e sul danno ossidativo coinvolti nella patogenesi della malattia.
È stato dimostrato ed è riportato in letteratura che l'ottimizzazione dei farmaci dopaminergici favorisce il miglioramento delle urgenze minzionali e dell'incontinenza. In particolare, l'uso di farmaci attivi sui recettori D1 piuttosto che quelli più attivi sui D2 sembrano essere utili per migliorare le urgenze. È possibile oltre a questa strategia terapeutica introdurre farmaci come il Betmiga o in casi selezionati anticolinergici. Questi ultimi devono essere utilizzati solo in pazienti non troppo anziani e sicuramente non affetti da disturbi cognitivi.
Non c'è relazione tra stipsi ostinata e prolasso vescicale ma, se è presente il prolasso vescicale, la stipsi può peggiorare.
Dipende da vari fattori. È esperienza comune che i pazienti con malattia di Parkinson soffrano di depressione a un certo punto della loro malattia, o anche al momento della diagnosi, come naturale reazione. Alcuni casi di depressione dipendono però dalla stessa malattia di Parkinson, nel senso che quest’ultima può ridurre i livelli di alcuni neurotrasmettitori che controllano l’umore. In genere, prevalgono più la melanconia e l’anedonia, cioè l’incapacità di trovare piacevoli attività o situazioni che normalmente lo sono (perdita di motivazione, di energia e di interessi). Altri sintomi sono i disturbi del sonno e della memoria.
La depressione può essere “curata” in vari modi e su più fronti: cercando di ridurre i livelli di stress, impostando la corretta terapia per la malattia di Parkinson in modo da tenere sotto controllo i sintomi, svolgendo attività fisica. Anche la terapia cognitivo-comportamentale migliora i sintomi psicologici, trasformando i pensieri negativi in positivi, o comunque in un atteggiamento più realistico. Infine, se questi accorgimenti non bastano, si può ricorrere anche agli antidepressivi.

La caduta dei capelli rientra tra i sintomi autonomici della malattia più che essere un effetto collaterale dei farmaci. Spesso è più evidente in persone con cute (e cuoio capelluto) molto secco. Può essere di aiuto utilizzare shampoo e balsamo non aggressivo e prodotti per rendere la cute meno secca. Comunque, se la caduta dei capelli è significativa, può essere valutata la sostituzione del farmaco che si presuppone responsabile, con un altro farmaco antiparkinsoniano. La caduta dei capelli è in genere reversibile

È normale che la diagnosi di malattia di Parkinson susciti dubbi e domande relativi a questi due aspetti. Spesso scoprire di soffrire di Parkinson è fonte di un ripensamento della propria “vita” in generale, degli obiettivi, dei propri sentimenti e questo può portare ad essere meno inclini verso il partner, sia a livello affettivo sia sessuale, o a pensare che il proprio partner lo possa diventare.
Qualunque aspetto vi preoccupi cercate di parlarne liberamente con il partner, questo aiuta a ridurre le tensioni, a risolvere i dubbi e a non allontanarsi.
Un legame affettivo “forte” in tutti i sensi è infatti fondamentale per affrontare e vivere una vita che sia comunque pienamente appagante anche soffrendo di Parkinson.
I pazienti non devono temere di chiedere informazioni/aiuto ai medici o alle associazioni dei pazienti relativamente a problematiche di coppia o sessuali che possono emergere.
Una delle domande senz’altro più frequenti è se la malattia di Parkinson possa influenzare l’attività sessuale. Non esiste una risposta certa e valida per tutti in questo senso poiché i sintomi e il decorso stesso della malattia è diverso da persona a persona. Secondo alcuni pazienti, la malattia influisce scarsamente sulla relazione affettiva e sessuale, mentre per altri ha un maggiore impatto e ricercano sostegno in questo senso.

In generale, la malattia di Parkinson può influire sugli:
•    aspetti fisici (per esempio: effetti su erezione, orgasmo o sull’atto sessuale in sé) a causa di una ridotta flessibilità/mobilità o aumentata stanchezza. Il fisioterapista o lo specialista possono dare informazioni su come affrontare questi aspetti. A volte anche gli stessi farmaci per il Parkinson possono avere effetti sulla funzione sessuale. È quindi importante segnalarli al medico, in modo che possa effettuare le opportune variazioni;
•    aspetti psicologici come depressione, stress o ansia possono anch’essi ridurre il desiderio o modificare l’atto sessuale, creando a volte un circolo vizioso. Ancora una volta questi aspetti vanno discussi con il partner e il medico.

Nella malattia di Parkinson diventa difficile deglutire velocemente. Ecco cosa fare:
•    Siediti diritto mentre mangi e bevi
•    Prima di iniziare a mangiare pensa alle varie fasi della deglutizione: labbra chiuse, denti uniti, il cibo sulla lingua, solleva la lingua in su e poi indietro e manda giù (su, indietro, giù)
•    Piega la testa leggermente in avanti, non indietro quando deglutisci
•    Mangiando lentamente e prendendone piccole quantità alla volta si evita che il cibo si fermi in bocca
•    Deglutisci piccoli bocconi dopo averli ben masticati
•    Mastica bene e muovi il cibo con la lingua
•    Fai uno sforzo per masticare prima da una parte poi dall’altra
•    Non aggiungere altro cibo in bocca finché non è stato deglutito il boccone precedente
•    Come opzione, si possono fare degli spuntini piuttosto che tre pasti principali.

Sì, la composizione dei cibi e il momento in cui consumarli può variare, a seconda della terapia che si sta assumendo. Per esempio, è stato dimostrato scientificamente che una dieta ipoproteica a pranzo aiuta a migliorare l’efficacia della levodopa. La levodopa andrebbe assunta 15-30 minuti prima dei pasti, se però causa nausea può essere presa insieme a una piccola merenda a basso contenuto proteico.
Tenuti presenti questi accorgimenti, la dieta non deve però essere restrittiva, ma bilanciata e soprattutto variata nella scelta degli alimenti, e anche nei modi di cottura.
È consentito inoltre consumare non più di 1-2 bicchieri al giorno di vino, privilegiando il rosso, mentre i superalcolici andrebbero ridotti o eliminati. Sì a caffè e thè.

Ruolo del Caregiver nella malattia di Parkinson

Come "contrastare" il rifiuto del malato nel farsi aiutare (a volte anche in maniera aggressiva verbalmente)?
Più che contrastare il rifiuto a farsi aiutare, è importante aiutare il paziente a non farsi aiutare. Sarebbe utile creare un'alleanza e una complicità nel "contrastare insieme" la malattia senza sottolineare la necessità di essere aiutato, che in molti pazienti riduce l'autostima e può generare meccanismi di rifiuto. Inoltre, è importante valorizzare il bisogno della persona di mantenersi autonoma sfruttando le capacità di reagire alla malattia insieme.

È quello che ogni persona deve fare con se stesso. È quello che chiediamo ai nostri pazienti di fare mettendo in atto strategie di empowerment, engagment e resilienza. Cosa vuol dire? Comprendere la malattia e il suo trattamento, collaborare alle cure, farsi carico del proprio stato di salute e rispondere in modo proattivo alle sfide che vengono poste dalla malattia per conservare e migliorare la propria qualità di vita.

In questo caso probabilmente non mente sapendo di mentire…. probabilmente mente non sapendo di mentire.
Il paziente ha un suo punto di vista in quanto persona che vive quel problema. È possibile che possa "esagerarlo" perché lui è così che lo vive. Il rispetto del suo punto di vista è la chiave della soluzione. È necessario comprenderlo ma dare immediatamente dopo soluzioni alternative. È la storia del bicchiere mezzo vuoto o mezzo pieno. Bisognerà far comprendere alla persona con Parkinson che spesso la malattia può fargli percepire i problemi più grandi di quel che sono.

Aspetti medico-legali nella malattia di Parkinson

Un malato di Parkinson che ha un'invalidità inferiore all'80%, con progressivi problemi di freezing, può usufruire di qualche beneficio o agevolazione da parte dell'INPS o altro ente?

Ai cittadini con una percentuale d'invalidità compresa tra il 74% e il 99% che non svolgono alcuna attività lavorativa e con un limite di reddito sotto a 4906,72 euro, con età compresa tra 18-67 anni, che si trovano in stato di bisogno (di mancato collocamento lavorativo e iscritti nelle liste di collocamento) spetta un assegno d'assistenza di 285,99 euro. Tale assegno al compimento dei 67 anni viene tramutato in assegno sociale. Esenzione dal ticket per invalidità, appartenenza alle categorie protette, diritto a protesi ed ausili, se lavoratore di un ente privato e autonomo, può accedere all'assegno ordinario d'invalidità INPS con almeno cinque anni di contributi di cui tre versati nell'ultimo quinquennio, l'assegno è compatibile con l'attività lavorativa. Le agevolazioni fiscali spettano solo ai disabili (legge 104 art.3 comma3)

Paralisi Sopranucleare Progressiva (PSP)

La PSP è una malattia rara?

Si, e in quanto tale in molte regioni necessita di opportuna certificazione per essere riconosciuta. Poiché le pratiche burocratiche variano di regione in regione è meglio informarsi dal proprio neurologo curante.

Si, la PSP presenta diversi sottotipi. Il secondo sottotipo più frequente è la variante con parkinsonismo. In questo caso i pazienti ricevono frequentemente una diagnosi iniziale di malattia di Parkinson. La scarsa risposta alla levodopa e le frequenti cadute sin dai primi anni di malattia fanno poi cambiare l’inquadramento diagnostico.

La PSP e la malattia di Alzheimer sono due malattie diverse dal punto di vista clinico. Il deterioramento cognitivo fa parte del quadro clinico della PSP così come della malattia di Alzheimer. E’ possibile inoltre che pazienti con PSP presentino accumulo cerebrale di amiloide che è il segno distintivo della malattia di Alzheimer. L’accumulo di amiloide si può evidenziare con esami strumentali specifici (PET o esame le liquido spinale). Non è chiaro però il contributo di questi accumuli al quadro clinico della malattia.

Come altre malattie neurologiche anche la PSP può avere una sindrome restrittiva, cioè una difficoltà all’espansione completa della componente torace, portando quindi a una riduzione della capacità respiratoria. Una importante compromissione respiratoria può derivare però dall’alterazione del riflesso della deglutizione che può determinare il passaggio di cibo nelle vie respiratorie, portando ad una polmonite definita ab ingestis perché dipende dal fatto che il cibo prende la via sbagliata. La prevenzione del disturbo infettivo polmonare deve essere fondamentale. Per prevenire bisogna agire in prima battura anche sulla dieta, alimentandosi in modo adeguato man mano che il problema della deglutizione peggiora.

Per provare a migliorare la rigidità viene usata la levodopa proprio come nella malattia di Parkinson. Tuttavia la caratteristica della PSP che la rende differente dalla malattia di Parkinson è proprio una modesta risposta alla levodopa. Per le contrazioni muscolari che possono comportare chiusura forzata degli occhi o delle mani viene utilizzata invece la tossina botulinica, anche in questo caso con livelli variabili di efficacia.

Ad oggi sono già stati condotti due grandi studi internazionali multicentrici con anticorpi monoclonali contro la proteina tau (il cui accumulo nel cervello si ritiene alla base della malattia). Purtroppo entrambi sono stati interrotti per non efficacia. È in corso di sviluppo un altro studio che testa un altro anticorpo anti-tau nella PSP. Purtroppo al momento non è possibile prevedere quando questo studio inizierà in Italia. È attivo invece uno studio sulla stimolazione elettrica, monocentrico spontaneo e no profit che si svolge in un solo centro a Salerno.
Infine sul sito internet clinicaltrials.com che è prettamente un sito per addetti al settore, si trovano varie iniziative. Al momento non esiste un registro delle sperimentazioni per la PSP.
Per quanto riguarda i criteri per essere ammessi in questi studi in linea di massima le sperimentazioni sono dirette a pazienti in fase inziale di malattia, che riescono a deambulare e che conservano capacità di comunicazione. Ciascuno studio ha poi dettagliati criteri di inclusione.

Al momento non ci sono evidenze che un particolare tipo di alimentazione possa prevenire o rallentare la malattia. Sicuramente esiste nella malattia un rischio di malnutrizione legata al problema della deglutizione per questo può essere importante affidarsi ad un nutrizionista.

Quasi tutte le pubblicazioni sull’approccio riabilitativo (motorio o foniatrico) sono riportate su piccole casistiche e forti evidenze scientifiche mancano. Inoltre molto spesso il disturbo di comunicazione del paziente non dipende solo da un problema muscolare e di fonazione ma anche da un problema cognitivo. Sicuramente un supporto logopedico soprattutto nella prima fase di malattia è di aiuto per il paziente e per i familiari.

No purtroppo al momento non ci sono evidenze che modifiche della dieta possano influire sulla malattia. Quando concomitano fattori di rischio cerebrovascolari (diabete, ipercolesterolemia) è consigliabile tenere sotto controllo l’alimentazione.

La PSP non è una malattia ereditaria. Ci sono però delle malattie neurologiche ereditarie che possono avere sintomi simili alla PSP, ma di solito è presente una importante familiarità per malattie neurologiche come demenze o disturbi del movimento. Quindi uno screening per genetica non è proponibile a tutti i pazienti ma sarà fatto soltanto in coloro che presentano delle caratteristiche suggestive di malattie ereditarie.

Sono domande a cui è complesso rispondere. Purtroppo la difficoltà di comunicazione può peggiorare nel tempo. È possibile soddisfare i bisogni del paziente attraverso la comunicazione non verbale, un po’ come si fa anche con i bambini piccoli.  La consapevolezza del proprio stato potrebbe ridursi col tempo, ma i pazienti si renderanno sempre conto delle cure che ricevono dai loro cari proprio come i bambini. In questa malattia fare previsioni sul futuro è assolutamente difficile, purtroppo è possibile la perdita della capacità di comunicare, aiutarsi con la logopedia è importante per rallentare questo processo. La capacità di comunicare tra il paziente e i suoi familiari rimane però spesso possibile attraverso una comunicazione non verbale che proprio la profonda conoscenza può garantire. Ci sono poi supporti alla comunicazione come le tavole di comunicazione o anche supporti elettronici. Sicuramente il logopedista può aiutare anche a trovare il giusto strumento

La PEG si posiziona quando non è più possibile mantenere una adeguata alimentazione per via orale in sicurezza, ovvero quando il rischio di polmoniti ab ingestis e/o malnutrizione è troppo alto. Il momento giusto va valutato con il proprio curante. Il logopedista fornisce adeguato supporto in questa decisione.

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